MUOS, ora è tutto-silenzio

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MUOS1Di Salvo Barbagallo

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A poco meno di un mese dalla decisione del Tribunale per il Riesame di Catania che ha confermato il provvedimento emesso l’1 aprile scorso dal Gip di Caltagirone, su richiesta del procuratore Giuseppe Verzera, che ha bloccato la prosecuzione dei lavori di realizzazione dell’impianto di Telecomunicazione nella base americana, sul MUOS è caduto il silenzio più totale. Soddisfatti, per ora, gli attivisti “anti-Muos”, resta l’attesa per l’udienza pubblica del prossimo 8 luglio perché per i giudici del Cga il giudizio è talmente complesso e numerose sono le parti che si sono costituite che occorre un approfondito giudizio nel merito. “Le numerose e articolate questioni, di fatto e di diritto, al centro del ricorso – si legge nell’ordinanza – necessitano di un approfondito e sollecito esame nel merito”. Come è noto, sono otto gli indagati dell’inchiesta condotta dal procuratore di Caltagirone Giuseppe Verzera: l’ex dirigente dell’assessorato regionale al Territorio e Ambiente Giovanni Arnone, nella sua qualità di responsabile del procedimento autorizzativo degli impianti satellitari, Mauro Gemmo, presidente della ditta vicentina Gemmo spa, Adriana Parisi, responsabile della Lageco, che con la Gemmo si è consorziata in Ati e ha eseguito i lavori di realizzazione del Muos, Concetta Valenti, della Calcestruzzi Piazza srl, Carmelo Puglisi, della PB costruzioni, Maria Rita Condorelli della CR impianti, e un militare americano.

Al di là dei danni al territorio e all’ambiente e alla salute della collettività (danni possibili confermati da autorevoli relazioni tecniche) resta la “pericolosità” del sistema satellitare e dell’uso al quale è predisposto il MUOS, strettamente collegato al sistema delle altre installazioni militari stanziate in Sicilia da tempo, prima fra le quali la Naval Air Station di Sigonella che ospita da anni i micidiali droni Global Hawks. E’ la diffusa “pericolosità” delle basi militari installate in tutta l’isola che, per gli Stati Uniti d’America, è considerata ormai “un importante caposaldo militare nel Mediterraneo, il perno di molti raggi che vanno in tutte le direzioni, incluso l’arco atlantico che dal Portogallo porta alla Gran Bretagna e l’arco orientale che va dalla Germania alla Turchia”, come ha affermato il generale Fabio Mini. E’ questa situazione che dovrebbe far riflettere (e agire di conseguenza) chi governa la Regione, e non soltanto i magistrati che si occupano del “caso MUOS”. E’ indubbiamente vero che la presenza “militare” degli USA in Sicilia è sancita da protocolli bilaterali con il Governo nazionale, ma quando sono stati sottoscritti questi protocolli, chi li ha firmati si rendeva conto che la Sicilia venica trasformata in un arsenale bellico? Un arsenale pronto e disponibile per tutte le circostanze che gli Stati Uniti riterranno a “loro” utili? Una situazione che il generale Fabio Mini ha sottolineato in maniera chiara e inequivocabile: La Sicilia “è un baluardo della difesa strategica degli Usa, che si poggia su quattro pilastri, uno dei quali è il Muos di Niscemi (…). La Sicilia ha una posizione politica internazionale (…). La Sicilia è al centro di conflitti al Sud e di molte tensioni a Nord e ad Est”.

La collettività siciliana è (complessivamente o quasi) ignara di quanto accade sul suo territorio. Politici e governanti sono fin troppo “impegnati” nelle (squallide) lotte di un potere che in realtà non hanno (e non avrano): a determinare, infatti, il futuro dell’Isola non sono (e non saranno loro. Un futuro che, forse, non dipende neanche da Roma, ma che Roma subisce (?) o sarà costretta a subire (?).

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